I #contenutifalsi, o “fake”, hanno invaso il mondo digitale, specialmente sui social media, dove vengono usati per manipolare l’opinione pubblica, spingere agende politiche o ideologiche, e perfino generare profitti attraverso pubblicità e merchandising. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale (IA), questi contenuti si sono evoluti, dando vita ai deepfake, una forma di inganno molto più sofisticata e difficile da rilevare.
Ma cos’è esattamente un #deepfake? Si tratta di un contenuto multimediale—spesso video, ma anche immagini e audio—alterato o completamente generato da algoritmi di intelligenza artificiale, in particolare da reti neurali profonde. Questi algoritmi possono manipolare il volto, la voce e i movimenti di una persona, creando qualcosa di estremamente realistico ma completamente falso. La combinazione di “deep learning” e “fake” ha dato origine a un termine che riflette sia la profondità tecnologica utilizzata, sia la complessità del falso che ne risulta.
Se guardiamo indietro, l’idea di creare contenuti capaci di ingannare la percezione umana non è nuova. Già nel 1997 esisteva un’applicazione, chiamata “Video Rewrite”, che poteva modificare i movimenti della bocca di un volto esistente per far pronunciare frasi mai dette. Tuttavia, con l’avvento delle reti neurali profonde e del deep learning, queste tecnologie sono diventate più accessibili e potenti, consentendo a chiunque di creare deepfake di alta qualità.
L’impatto sociale di queste #tecnologie è enorme. I deepfake non sono solo un pericolo per la reputazione delle persone coinvolte, ma possono anche manipolare l’opinione pubblica in modo significativo. Pensiamo a quanto sarebbe facile diffondere disinformazione o alterare la percezione della realtà con un video apparentemente autentico di un leader politico che pronuncia discorsi mai fatti. Non a caso, un esempio clamoroso è stato un deepfake di Barack Obama che ha fatto il giro del mondo, dimostrando quanto sia semplice ingannare il pubblico con queste tecnologie.
In Italia, la questione è diventata di dominio pubblico quando “Striscia la Notizia” ha trasmesso un video deepfake nel 2019. Questo episodio ha avuto un grande impatto, introducendo il termine “Profondo Falso” come possibile traduzione italiana di deepfake e mettendo in luce quanto sia difficile distinguere tra realtà e finzione.
Il rischio di questi contenuti non si limita alla reputazione personale, ma si estende alla manipolazione su larga scala. Leader politici, celebrità e persino persone comuni possono diventare vittime di scandali e disinformazione causati da video falsi creati a loro insaputa. Un caso emblematico è quello di Scarlett Johansson, che nel 2018 ha denunciato la diffusione di un deepfake pornografico, evidenziando come queste tecnologie possano essere usate per scopi malvagi.
Di fronte a questi pericoli, le istituzioni stanno cercando di reagire. La Commissione Europea ha introdotto linee guida specifiche per l’uso dell’IA, includendo una definizione di deepfake e richiedendo trasparenza nell’indicare video manipolati. In Italia, il Garante Privacy ha avviato iniziative per aumentare la consapevolezza del pubblico e ha preso provvedimenti contro piattaforme come Telegram, dove i deepfake circolano liberamente.
Guardando al futuro, è evidente che i deepfake diventeranno sempre più realistici e difficili da smascherare. Tuttavia, la miglior difesa contro questi contenuti rimane uno spirito critico e la capacità di interrogarsi sulla veridicità di ciò che vediamo. Non dobbiamo mai accettare un contenuto come vero senza verificarne l’autenticità attraverso fonti indipendenti.
In parallelo, lo sviluppo di strumenti tecnologici per identificare i deepfake sarà essenziale. Microsoft, ad esempio, ha già introdotto il “Video Authenticator” nel 2020, uno strumento progettato proprio per questo scopo, e altre soluzioni sono già in fase di sviluppo.
In definitiva, mentre i deepfake rappresentano una delle sfide più insidiose della nostra era digitale, con la giusta combinazione di consapevolezza, regolamentazione e tecnologia, possiamo arginare i rischi e proteggere la società dall’inganno digitale.