Cosa accade quando la tecnologia incontra la spiritualità? La risposta a questa domanda si trova a Lucerna, in Svizzera, dove un esperimento unico ha portato oltre mille persone a confrontarsi con un’idea rivoluzionaria: parlare con un #avatar di #Gesù. Non un sacerdote, né un teologo in carne e ossa, ma un’#intelligenzaartificiale, posizionata simbolicamente in un confessionale della Cappella di San Pietro, la Chiesa più antica della città.
L’iniziativa, chiamata Deus in Machina, nasce dalla collaborazione tra la Facoltà di Teologia e il Centro di Realtà Immersive dell’Università di Lucerna. Ma non si tratta di blasfemia o di un tentativo di sostituire la fede con la #tecnologia. Gli ideatori, guidati dal teologo Marco Schmid, sottolineano che l’installazione è un esperimento artistico e culturale, non uno spazio per confessioni autentiche.
Eppure, il progetto ha suscitato domande profonde: fino a che punto le persone possono affidarsi a una macchina per affrontare questioni esistenziali? E qual è il valore spirituale di un’interazione mediata dall’intelligenza artificiale?
Le reazioni sono state varie. Per molti, l’esperienza è stata mistica, capace di evocare una dimensione di connessione profonda. Due terzi dei partecipanti hanno descritto l’interazione come un momento spirituale, e non sono mancati i contributi da persone di fedi diverse, come musulmani e turisti asiatici. Tuttavia, non tutti sono rimasti soddisfatti: alcuni hanno percepito l’avatar come poco autentico, con risposte ripetitive e superficiali.
La scelta di rappresentare Gesù, anziché un semplice teologo o un Santo, ha un valore simbolico forte. L’immagine del Messia è universale, immediatamente riconoscibile e carica di significato. E, sebbene alcuni possano storcere il naso, l’obiettivo non è provocare ma piuttosto esplorare nuovi modi di avvicinarsi alla spiritualità.
L’avatar di Gesù rappresenta, in qualche modo, un ponte. Da un lato, c’è la tecnologia, con le sue capacità sempre più avanzate di imitare il linguaggio umano. Dall’altro, c’è l’umanità, con il suo bisogno di risposte, di significato e di una dimensione trascendente. Deus in Machina non risponde a tutte le domande, ma invita a riflettere: possiamo realmente aprire il nostro cuore a una macchina? E, se lo facciamo, cosa stiamo cercando di trovare?
Forse l’esperimento non vuole offrire risposte, ma semplicemente mostrarci un futuro in cui spiritualità e tecnologia potrebbero convivere. Una prospettiva che solleva perplessità, entusiasmi e, inevitabilmente, nuove domande su cosa significhi davvero essere umani.